“Speciale è la persona che accoglie le paure degli altri e le trasforma in coraggio.”
“Cara Prof,”così comincia la lettera che mi hai dato qualche giorno fa, dopo averti incontrato nel rinomato locale dove lavori come executive chef. Ti avevo parlato di questo concorso e hai voluto incontrarmi, deliziando il mio palato con i tuoi piatti.
Il gestore del ristorante mi ha detto che sei una persona speciale e tu hai subito ribattuto che speciale è la persona che accoglie le paure degli altri e le trasforma in coraggio: hai fatto riferimento a me e a qualche altro prof che hai incontrato nei tre anni e mezzo di reclusione a Petrusa.
Cominci il racconto dicendo che al momento dell’arresto ti sei sentito “un uomo distrutto”, di esserti iscritto a scuola perché era l’unica attività trattamentale proposta. Tu sapevi già cucinare, ma da questo percorso hai attinto le conoscenze teoriche che ti mancavano e gli “strumenti per analizzare il passato, fronteggiare il presente e sognare il futuro”.
Mi chiedi il significato di “resilienza”; ti spiego che questo termine, nato in ambiente tecnico-edilizio, riguarda le proprietà che hanno alcuni materiali di riprendere la loro forma dopo essere stati compressi e deformati. Nella tua lettera, mi dici che “resilienza non è quindi solo capacità di resistere, ma anche di ricostruire il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, della società, dello Stato, dei valori morali. È resiliente, pertanto, chi è disposto al cambiamento, chi è disposto a pensare di avere in qualche modo sbagliato e si dà la possibilità di correggere la propria rotta e generare nuove possibilità, per se stesso, il proprio figlio, i propri cari e il tessuto sociale in cui è immerso.”
“In carcere ho imparato l’importanza dell’istruzione e della formazione, ho imparato la pazienza, ho imparato a contare fino a 10. A lei cara prof, dedico il mio sentirmi una persona nuova e i miei prossimi obiettivi: il diploma di stato e la stella di chef”.
Cosa è successo in questi due anni…
Raffaele non è più tornato in carcere e nel frattempo è nato il secondo figlio.
Dopo la qualifica conseguita subito dopo l’esperienza di detenzione, non ha ancora conseguito il diploma di stato, a causa degli impegni di lavoro.
Da chef, ha vinto premi di arte culinaria e apparso in riviste specializzate.
Da poco, ha aperto un locale tutto suo, che deve ancora decollare, ci auguriamo dopo il lockdown del covid19.
Raffaele è la testimonianza che la scuola in carcere non è un semplice momento di “evasione” dalla routine della cella, ma è anche e soprattutto volano di riscatto e luogo in cui il reinserimento lavorativo comincia a concretizzarsi.
Ci sentiamo spesso per telefono e continua a chiamarmi “cara prof.”
In parte ha superato la sua timidezza e insieme abbiamo partecipato a diversi eventi per raccontare la sua, ormai anche mia, storia di resilienza. Gli piace dire che lui ci mette la faccia, io le parole.
Pochi giorni fa ci siamo incontrati, abbiamo parlato a lungo del premio role model e, come due anni fa, di resilienza. Mi parla di “responsabilità”: quella di essere libero, ogni giorno, ogni ora, di scegliere quale strada prendere, per se stesso e la sua famiglia. Ci siamo detti che il riconoscimento è stato assegnato a lui per aver vissuto l’esperienza della detenzione non come un limite, ma come soglia verso altre opportunità.
Per quanto riguarda me, se ho avuto un merito, è stato quello di aver sempre creduto che tutto ciò fosse possibile, che la cultura rende liberi e che la formazione professionale in carcere non è mai fine a se stessa.
Anche la mia vita personale e professionale è cambiata. Sono un po’ diventata una “ladra” di tutte le storie che raccontano delle paure, delle speranze, delle cadute e soprattutto dei tentativi di riscatto delle persone che incontro in carcere. Storie che esigono ascolto con il cuore, aprono interrogativi e che affermano a viva voce che il detenuto va “accompagnato” verso la libertà .
L’idea del mio dottorato di ricerca sulla resilienza delle persone ristrette è nata subito dopo la nomina a role model, a 50 anni suonati e, in un certo senso, mi ha cambiato la vita. Rimettersi in gioco la cambia sempre. In meglio, nonostante la paura di non essere all’altezza e di non avere più l’età!